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Contro il sessismo e la violenza di genere! Per un femminismo inclusivo, socialista e rivoluzionario

Aggiornamento: 5 apr 2023

Chiunque oggi, accendendo la tv o facendo un giro sui social, può finire su contenuti misogini, LGBTQIA+fobici e razzisti. Il sessismo e le altre forme di discriminazione imperversano, con dirigenti politici e personalità pubbliche che si sentono libere di esprimere discorsi che veicolano odio in tutta impunità. L’ascesa al potere dell’estrema destra non fa che incoraggiare questi fenomeni. La sua retorica nazionalista e reazionaria attacca direttamente i diritti delle sezioni più vulnerabili della classe lavoratrice, in particolar modo le donne, i migranti, i rifugiati e le persone LGBTQIA+ .


Di Giulia Rossetti e Eugenio Marcigliano




Ci vogliono tirare indietro

Sebbene negli ultimi 5 anni ci sia stata una presa di coscienza sulle violenze di genere, grazie alle denunce dei movimenti MeToo e Non Una di Meno, queste rimangono onnipresenti e non fanno che aumentare. In media una donna viene uccisa ogni 3 giorni in Italia, principalmente nell’ambito domestico e famigliare. Gli abusi, le violenze fisiche e psicologiche fanno parte della vita quotidiana delle donne della classe lavoratrice e povere. È un’epidemia silenziosa che viene costantemente esacerbata dalle molteplici crisi (recessioni, crisi climatiche, guerre etc.) generate dal sistema capitalista. La pandemia, costringendo milioni di famiglie a isolarsi in casa e colpendo in modo sproporzionato l’impiego femminile, ha comportato un aumento importante di casi di violenza domestica e ha ulteriormente ridotto l’accesso ai servizi di sostegno alle vittime.

Inoltre le misure promesse dai precedenti governi contro la violenza di genere, spesso simboliche e scarsamente attuate, vengono messe da parte. La lotta alla violenza di genere é stata ritirata dal PNRR e dalla Strategia Nazionale per la Parità di Genere e relegata al Piano Strategico Antiviolenza 2021-2023, scollegandola così dalle principali politiche economiche e sociali alla guida del Paese. I centri anti-violenza, già insufficienti per prendersi carico del numero crescente di vittime, sono costantemente a rischio di chiusura a causa della mancata erogazione dei fondi loro assegnati o per le minacce di sgombero. Il diritto all’aborto, che in Italia é già fortemente ostacolato dall’obiezione di coscienza che arriva a picchi del 90% in alcune regioni, è ancora attaccato con la limitazione delle convenzioni pubbliche con i consultori.

La famiglia nucleare e il capitale

Questi attacchi sono giustificati facendo leva sulle forme più basse di coscienza, sui vecchi pregiudizi, sui “valori della famiglia” con i quali si tenta di tenere le donne al “loro posto”. Ma dietro questa retorica si nasconde una politica antisociale e d’austerità, intenta a difendere gli interessi del patronato e rigettare il peso delle crisi sociali sulle spalle delle donne. La famiglia nucleare è infatti un’unità fondamentale del sistema capitalista patriarcale. Questa permette al capitalismo di abbassare i costi della manodopera, imponendo una doppia giornata di lavoro a milioni di lavoratrici, e gli garantisce una fonte costante di giovani da sfruttare. Inoltre, limitando le donne al focolare domestico si pone un ostacolo importante alla loro capacità di organizzarsi collettivamente per difendere i propri diritti.

In un paese dove non esiste il salario minimo e la povertà tocca le donne in modo sproporzionato, la decisione di lasciare un impiego sottopagato per occuparsi della famiglia non è per molte una libera scelta, ma una questione di sopravvivenza. L’assenza di servizi pubblici adeguati per la cura di anziani o bambini, una conseguenza di decenni di politiche di austerità, non fa che esacerbare l’isolamento nel contesto domestico. Oggi, una donna su due in Italia è disoccupata e quelle che lavorano sono sovra-rappresentate negli impieghi part-time o precari. Nel 2020, le donne hanno rappresentato quasi l’80% delle dimissioni “volontarie” di persone con un figlio fino a 3 anni. Queste tendenze aumentano la dipendenza economica delle donne dalla famiglia e dal partner, terreno fertile su cui dilagano le violenze di genere.


Non ci lasceremo dividere!

Questo governo, come quelli precedenti, è incapace di far fronte alle crisi. Infatti, mentre giovani, lavoratrici e lavoratori finiscono nella miseria, questo è impegnato a fare regali a Confindustria e aumentare le spese militari. Per distrarre da questa realtà, cercano capri espiatori contro cui orientare la rabbia popolare. Lungi dall’essere nuovo, questo fenomeno rappresenta la continuazione di decenni di politica reazionaria portata avanti dalla classe dirigente italiana, espressa in modo più eclatante dall’ascesa del Berlusconismo e delle altre forme di populismo di destra. Quindi, per evitare di dover puntare il dito contro gli azionisti italiani ed esteri responsabili delle profonde crisi del Paese, le destre concentrano il proprio fuoco su donne, migranti e persone LGBTQIA+, in particolar modo le persone trans, con conseguenze tragiche. L’accumularsi di diverse oppressioni si traduce in un più alto rischio di violenze e la marginalizzazione sociale rende ancora più difficile sfuggire a dei contesti di abuso.

Ad esempio, le donne migranti sono in media due volte più a rischio di essere stuprate, con la percentuale di donne moldave, rumene e ucraine tra le più elevate tra i numeri riportati. Le politiche anti-migranti lasciano donne e minori senza alcun sostegno in condizioni di miseria più assoluta, spesso alla mercé della criminalità organizzata, o a morire in mare. Intanto in Italia almeno il 60% delle persone LGBTQIA+ dichiara subire discriminazioni in famiglia, a scuola o a lavoro. Le persone trans sono particolarmente colpite, anche grazie alla complicità di alcune portavoci del femminismo liberale e radicale che contrappongono i loro diritti a quelli delle donne cisgender. Ma ogni tentativo di dividerci per genere, origine, religione o orientamento sessuale, indebolisce il movimento, a beneficio di chi ci vuole deboli e obbedienti.


Non c’è capitalismo senza sessismo!

I nostri nemici non sono le altre persone povere e oppresse. Sono i capitalisti che traggono profitto dalle nostre oppressioni e dallo sfruttamento del nostro lavoro, remunerato e non. Dai tentativi di vendere prodotti arcobaleno durante il mese del Pride alla “tassa rosa”, le nostre lotte e i nostri bisogni vengono commercializzati per espandere il mercato e dare alle grandi imprese una facciata progressista. Questo non serve che a sfruttare nuovi mercati e a nascondere il loro sostegno a forze e regimi politici contrari agli interessi della classe lavoratrice, che attaccano direttamente i diritti delle donne e delle altre comunità emarginate. Anche quando queste forze si presentano con un volto femminile, come nel caso di Giorgia Meloni in Italia o di Marine Le Pen in Francia, ciò non gli conferisce un carattere progressista.

Avere più donne nelle istituzioni o nelle élite non vuol dire migliorare le condizioni di tutte le donne, e in particolare non quelle delle lavoratrici. La nostra liberazione non può avvenire che attraverso le lotte. Ce lo mostrano le donne in Iran che da mesi si mobilitano, insieme a milioni di giovani e lavoratori, contro la dittatura islamica al grido di “Donna, Vita, Libertà”. Per combattere il sessismo dobbiamo riconoscere come questo è radicato nella struttura stessa del sistema capitalista, in quanto strumento di divisione volto a favorire il controllo e lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori. Per questo le lotte femministe non interessano solo le donne, ma devono far parte di una mobilitazione generale di tutta la classe lavoratrice contro l’oppressione, le crisi economiche e la distruzione ambientale.


Il posto delle donne* é nelle lotte

La liberazione della parola e l’ondata internazionale di mobilitazioni femministe dell’ultimo decennio hanno infranto il mito dell’uguaglianza di genere raggiunta attraverso la parità di diritto. La continua oppressione delle donne è stata resa visibile sulla scena pubblica, ma ciò non basta a porre fine a questa piaga o a produrre un cambiamento significativo. La polarizzazione della società è in aumento e la reazione avanza nelle istituzioni e nelle strade. Gli attacchi contro l’autonomia corporea e i diritti LGBTQIA+ in tutto il mondo mostrano l’urgenza di reagire. Ottenere delle vittorie è possibile, ma dobbiamo organizzarci e non possiamo vincere da sole. Attraverso mobilitazioni e scioperi di massa possiamo imporre un rapporto di forza favorevole alle nostre rivendicazioni.

Abbiamo vinto il diritto all’aborto in Irlanda, Messico, Argentina, Colombia e Corea del Sud. Abbiamo rovesciato dittature decennali in Sudan e Algeria e fatto tremare tiranni da Hong Kong a Beirut. Siamo state in prima linea nel movimento Black Lives Matter e abbiamo portato avanti le imponenti lotte che stanno scuotendo il continente sudamericano. Anche in Italia, siamo state tra le prime ad essersi mobilitate contro il nuovo governo, e le crisi che lo accompagnano, scendendo in piazza per il diritto all’aborto il 27 settembre e contro le violenze di genere il 25 novembre e l’8 marzo. Il nostro movimento fa parte di un ondata femminista internazionale che sta travolgendo il mondo intero, sfidando vecchi stereotipi e sottolineando i limiti e le contraddizioni del sistema attuale.


Il femminismo socialista, oggi più che mai!


Per portare avanti le nostre lotte non basta denunciare il sistema attuale. Abbiamo bisogno di una prospettiva di cambiamento, strategie a lungo termine per ampliare il movimento e di un programma che indichi come possiamo ottenerlo. Per questo le idee del femminismo socialista sono più attuali che mai. Attraverso un’analisi di classe, che mette al centro le relazioni di forza nella società, siamo capaci di identificare in modo chiaro le origini e le dinamiche delle oppressioni a cui siamo confrontate. La classe lavoratrice, in quanto principale produttrice di ricchezza nella società, ha un ruolo centrale per rompere con il capitalismo patriarcale. Ma per adempiere a questo ruolo deve essere organizzata in modo inclusivo, indipendente e internazionale.

Per questo esiste la campagna internazionale ROSA (Resistenza contro l’oppressione, il sessismo e l’austerità), lanciata dall’ASI nel 2020 in seguito alle esperienze sviluppate dalle nostre sezioni in Irlanda e in Belgio. Ci basiamo sulle migliori tradizioni del marxismo rivoluzionario e del movimento operaio, con figure di riferimento come Rosa Luxemburg e Clara Zetkin, per sviluppare un programma capace di ricollegare le rivendicazioni concrete dei movimenti femministi alla necessità di una trasformazione socialista della società. Questo significa che lottiamo per ogni riforma che possa migliorare le nostre condizioni, ma senza illuderci che sia possibile mettere fine al sessismo e alle altre forme di oppressione in seno a un sistema basato sullo sfruttamento e le disuguaglianze. Solo attraverso la liberazione di tutti gli oppressi e gli sfruttati è possibile costruire una società libera dalle discriminazioni e intenta a difendere i bisogni della maggioranza delle persone piuttosto che i profitti di una infima minoranza di ultraricchi.


*Donne e pesone non-binarie

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